Il restauro
seicentesco
Nella visita pastorale del 30 aprile 1591 fatta da Gaspare
Visconti alla collegiata, dopo una precisa ricognizione,
si constata che il battistero non è stato ancora
realizzato secondo le nuove norme, che il tabernacolo va
risistemato così come laltare maggiore e i
diversi altari laterali. Nella cappella del Corpus Domini,
ora detta anche del SS. Sacramento, si deve chiudere lapertura
a occhio posta dietro laltare. Per la prima volta
si parla di una ricostruzione e di un restauro delledificio;
pertanto viene creata una Fabbrica il cui Consiglio è
composto da deputati scelti dallarcivescovo per amministrare
i beni necessari per il nuovo cantiere.
Presto, certamente negli ultimi anni del secolo, viene incaricato
Aurelio Trezzi, ingegnere collegiato di Milano, già
successore del Pellegrini nella Fabbrica del duomo, nel
completamento della sua Canonica e collaudatore dei lavori
nel santuario di Saronno, di studiare il progetto che nella
prima fase interessa lallungamento di una campata
per le tre navate e il completo rifacimento della fronte.
Se da una parte si voleva risolvere il problema di un
aula troppo ristretta per il numero dei fedeli - la parrocchia,
molto vasta, aveva allora intorno alle 8.500 anime -, dallaltra
non aveva certo peso secondario la volontà della
Chiesa milanese di trasformare il maggior numero possibile
di edifici ecclesiastici secondo il nuovo linguaggio, che
era insieme architettonico e religioso. La ricerca di forme
classiche, alla romana, si esprime in questi
anni qui come nella cattedrale e addirittura, seppur soltanto
a livello di progetto, nel romanico SantAmbrogio.
E, guardando alla facciata realizzata in San Babila dal
Trezzi, si può notare un certo richiamo al progetto
pellegriniano per la fronte del Duomo: vi prevale infatti
lorizzontalità e lampio sviluppo del
piano inferiore rispetto a quello soprastante.
Anche la scansione verticale, con un gioco di paraste binate,
richiama in tono minore quella delle grandi colonne monolitiche
che avrebbero dovuto ornare la fronte pellegriniana. Daltronde,
come si è detto, il Trezzi ne fu sovente lerede
e il continuatore. Al riguardo è interessante notare
come, persi i disegni, questi dati ci sono per fortuna conservati
con precisione da una foto della facciata scattata allinizio
del nostro secolo, prima della sua demolizione. Invece,
osservando le numerose incisioni settecentesche che la ritraggono,
si nota una modifica nelle sue proporzioni; vi è
resa infatti secondo un diverso rapporto tra elementi orizzontali
e verticali, più consono a quello consueto negli
altri esempi di facciate barocche del Sei e Settecento,
anche se non corrispondente alla sua realtà. Lo schema
è comunque quello tipico nella Milano di quel secolo:
una scomposizione orizzontale in due parti, separate da
un alta fascia marcapiano e concluse da un timpano
triangolare; un preciso ritmo verticale scandito dalle lesene.
Al centro si apre il ricco portale, allineato con la finestra
superiore; ai lati due semplici porte in basso e sopra,
ma non in corrispondenza, due nicchie, che sono invece sulle
stesso asse con dei piani riquadrati secondo lesempio
dei fianco di San Fedele. Nessun elemento scultoreo adorna
la fronte; la caratterizzano soltanto dei rami di palme
in bronzo, in parte dorato, e la croce, posta al culmine
dei timpano.
Nella documentazione rimastaci riguardante
la chiesa troviamo notizie di entrate della Fabbrica dal
1598, che può considerarsi con buona precisione la
data di inizio dellopera. Come prima spesa troviamo
un pagamento, in data 25 giugno 1600, dei suo tesoriere
al Trezzi per sua mercede di disegno o modello da
lui fatto di detta Fabbrica. In virtù di mandato
dell'8 Aprile prossimo passato. In un altro volume,
che è il registro dei lavori per la nuova fabbrica,
gli anni di attività indicati partono dal 1598 e
si concludono con il 1617, anche se per i primi due non
sono elencate spese dato che furono quelli di organizzazione
dei progetto e poi del cantiere. Ancora in questo volume
troviamo un riferimento al già ricordato pagamento
del 1600 al Trezzi per la mercede del disegno fatto
della chiesa.
Dallultima parte di quellanno i pagamenti si
susseguono fitti e riguardano i diversi materiali per il
cantiere: calce, sabion vivo, mattoni e coppi.
Il 3 novembre si paga Bernardo Zoccoletti picaprede
per il ceppo portato lì per fare il dado, e
basi per detta fabbrica, il 30 Giovanni Pietro
Fornasaro di Crescenzago per 3333 mattoni e 500 coppi.
Si trovano poi compensi per i muratori, per i trasporti
via acqua fino al ponte novo di Monforte, altre
volte al ponte di porta Orientale o a porta Ticinese, da
dove i materiali venivano trasferiti con carri fino al cantiere.
L 8 aprile 1601 si salda un altro mandato al Trezzi
Ingegnero dessa fabrica a conto delle sue fatiche.
Anche in questanno le spese sono per i lavori di muratura
e per la preparazione e messa in opera delle parti in pietra
dellordine inferiore della facciata, questa volta
il cornicione e le colonne, lavori tutti che vengono visionati
e collaudati dal Trezzi. Da altre annotazioni possiamo capire
che il cantiere fu organizzato in modo che si costruisse
prima la nuova facciata, avanzata di una campata rispetto
alla precedente. Dopo averla completata con i diversi elementi,
almeno dellordine inferiore, il 15 maggio 1604 si
paga per la demolizione della vecchia e per haver
fatto le pilastrate di tre porte nella facciata nova.
Di lì a qualche giorno è eseguito un altro
pagamento per le macerie portate via e per le ante di chiusura
dei nuovi portali. Il 13 novembre un nuovo mandato riguarda
le travi tolte dal campanile di facciata, demolito, e la
ristrutturazione del tetto in quella parte.
Concluso quindi, almeno nelle parti essenziali, il nuovo
corpo, si lavora con più calma alla definizione del
secondo ordine. Sempre nel 1604 e poi nel 1605 si mettono
in opera le cornici alla base dellordine superiore,
mentre nel 1606 si fanno larchitrave, il fregio e
la cornice. Soltanto nel 1610 invece il finestrone della
facciata sarà completato con un telaio di ferro,
le vetrate e la ramata fatta sopra di detto telaro.
Intanto dal 1604, sempre sotto la guida
del Trezzi, si iniziano i lavori nella parte absidale per
il rifacimento del coro, che viene ampliato. Questi proseguiranno
con 1 ammodernamento del tiburio in modo che lintera
chiesa assuma un nuovo aspetto. Subito in quellanno
si costruiscono le murature della cappella maggiore, posta
nellabside centrale, cui si accede mediante nuovi
gradini di marmo mischio; se ne fifa il pavimento, che viene
coperto con medoni, e il tetto, portato da due capriate.
Allinterno invece la sua volta poggerà su una
cornice di ceppo gentile, la cui sagoma viene disegnata
dal Trezzi, che progetta anche la balaustra posta allingresso
del coro.
Da un altro confesso di pagamento, del 23 maggio 1606, sappiamo
che in quel periodo vengono rifatti tutti li tetti
della chiesa et le capriate, mentre dal 1608 si comincia
a trovare indicazioni delle opere eseguite nella tribuna,
tutte progettate dal Trezzi che ne disegna le diverse parti.
La sua copertura viene rialzata e sugli otto lati si delineano
otto finestre con cornice di stucco decorata: quattro sono
chiuse da vetrate, mentre le altre quattro restano tamponate
in muratura con le finte vetrate, dipinte da Gio.
Batta Albesio pittore. Allinterno viene ornata
sempre con stucchi e con un cornicione sottostante. Nel
1612 non è ancora completata, ma si paga per un ballone
di rame dorato, da mettere allesterno, in cima
alla tribuna, per portare come decorazione un gallo, anchesso
di rame.
Tutta la chiesa viene allora rinnovata; oltre ai tetti,
nel 1609 si flfa il pavimento, continuando la soluzione
a medoni; le pareti e le volte dellaula sono completamente
reintonacate. I vecchi capitelli romanici vengono ora ricoperti
da stucchi così da diventare degli elementi classici.
Allingresso dellaula sono collocate due nuove
pile dellacqua santa. Intanto nel 1606, in attuazione
di una disposizione di Carlo Borromeo dopo la visita del
1567, si era costruita nel lato della navata sinistra una
nuova cappella, simmetrica e simile nella forma a quella
del Corpus Domini, che verrà dedicata proprio a Carlo,
beatificato in quegli anm.
La
chiesa tra XVII e XIX secolo
Dal 1613, anno in cui si possono considerare completati
i lavori - i pagamenti proseguiranno però fino al
1617 - ledificio assume un aspetto completamente rinnovato
e consono al gusto controriformato del periodo borromaico.
Certamente, entrando in questa chiesa, non rimane più
alcuna memoria della vecchia costruzione romanica, ma appare
evidente la forza del moderno linguaggio che ben corrisponde
alla nuova riforma liturgica e anche allimportanza
di essere diventata collegiata.
Nella descrizione che il Torre dà della fabbrica
nel 1674 la ritroviamo infatti ricordata con moderni
ristori sia per quanto riguarda la facciata, sia per
linterno dove si vede il rifacimento degli archi,
e de pilastri. Anche il Latuada, che scrive
cinquantanni più tardi, la reputa ancora in
ottimo stato: ristorata, ed abbellita. Un particolare
risalto è dato alla nuova facciata, ideata dal Trezzi,
arricchita di un Antiporta sistemata da colonne avanti
alla Porta di mezzo.
Ma il suo stato di conservazione, con il procedere degli
anni, dovette peggiorare velocemente se, allinizio
del XIX secolo (1815), la sua Fabbriceria è preoccupata
per la necessità di un intervento urgente riguardante
il tetto e le volte. Intanto diventava sempre più
grave il problema dellumidità, le cui infiltrazioni
avevano disgregato il pavimento e, per leffetto di
risalita, anche le murature e i pilastri. Una relazione
del 1826 ricorda che nellestate principalmente
è incomodissima nel tempo delle sacre funzioni e
non poco insalubre. La ristrettezza delle finestre,
laffossamento del piano di pavimento rispetto a quello
stradale e laltezza sempre maggiore delle case vicine
sono considerate le cause di questa malsana situazione.
Si pensa allora di demolirla e di ricostruirne una nuova.
Per fortuna le difficoltà finanziarie della Fabbrica
e lostilità dell autorità civile
bloccarono liniziativa; di conseguenza si procedette
al restauro della vecchia costruzione, modificandola soprattutto
nei suoi stilemi per avvicinarla al gusto neoclassico. Si
aprirono e chiusero delle finestre in modo da raggiungere
una migliore areazione dellinterno; si realizzò
un nuovo altare maggiore e di conseguenza si alleggerirono
le decorazioni barocche. Nel 1829 il pittore Giuseppe Bramati
riaffresca linterno della chiesa con figure di santi,
evangelisti e angeli.
Ma tali interventi non bastano a risolvere il problema dellumidità
che addirittura ammorba lambiente; nel
1852 si cerca una soluzione togliendo il vecchio pavimento,
scavando nella parte sottostante e creando un sottofondo
di ciottoli di fiume dello spessore di più di un
metro per il drenaggio e insieme lareazione. Si dubita
però del risultato perché questa operazione
non impedisce il risalire dellacqua attraverso le
murature oramai impregnate e malconce. Va anche ricordato
che lintero muro laterale destro, affacciante sul
Monforte, nei secoli era stato affiancato da un altro muro,
allineato con la sporgenza della cappella del Corpus Domini,
creando così unintercapedine che certo non
aiutava la ventilazione lungo tutto quel fianco. Di nuovo
si parla di una riedificazione qualunque sia dalle
fondamenta. Ma ancora la mancanza di fondi ferma il
progetto. Si comincia allora a pensare a un restauro.
La
risistemazione neoromanica
Come già era successo alla fine del Cinquecento,
il 10 dicembre 1880 la Fabbri-cena e il parroco di San Babila
la collegiata era stata soppressa da Giuseppe 11
nel 1787 affrontano con decisione il problema di intervenire
sulledificio oramai insalubre e incaricano larchitetto
Paolo Cesa Bianchi di studiare un nuovo progetto (15 gennaio
1881). La Fabbrica esprime il proprio desiderio di
coordinare.., il concetto di un generale restauro con una
riforma artistica.
Il clima culturale a Milano era oramai cambiato rispetto
allondata di modernità dellinizio del
secolo ed era emersa una particolare attenzione per
larchitettura romanica, considerata la grande espressione
dellarte lombarda. Inoltre stavano allora nascendo
i primi Uffici per la conservazione dei monumenti, che guardavano
proprio alle vecchie basiliche romaniche, spesso modificate
nelle diverse epoche, per restaurarle e completarle secondo
il loro primitivo linguaggio. Sono di questi anni gli interventi
in San Marco, in Santa Maria del Carniine, in San Sepolcro.
In tale ambito, insieme filologico ed eclettico, va quindi
inserito il progetto del Cesa Bianchi per la nostra chiesa.
Subito decide di affiancarsi nellanalisi delledificio
lamico Carlo Casati, membro della Commissione conservatrice
dei monumenti, e incomincia a studiare linterno per
verificare attraverso sondaggi la consistenza delle parti
romaniche sopravvissute sotto la corteccia muraria barocca.
Nella ricerca coinvolge numerosi esperti, si potrebbe dire
i maggiori personaggi della cultura neoromanica: dallArborio
Mella al Mongeri, allo Schmidt, al Boito, che ricercava
proprio in queste forme le radici per un nuovo stile nazionale.
1117 febbraio 1882 in una relazione alla prefettura e al
Boito poteva confermare la possibilità ditale intervento
che, realizzato rapidamente, portò, più che
a un restauro, alla riscoperta dellaula romanica.
Fu più difficile operare sulle absidi che, come si
è già detto, erano state demolite al tempo
di Federico Borromeo e ricostruite più ampie e con
le laterali di forma rettangolare, secondo le norme liturgiche
del tempo. Nel giugno del 1882 si decide quindi di abbatterle
per ricostruirle sul tracciato di quelle romaniche, delle
quali si era trovata la base. Per lalzato però
non rimaneva alcuna indicazione o reperto che potesse guidare
la costruzione, né il Cesa Bianchi poté avvalersi
per il suo progetto del già ricordato disegno del
museo di Stoccarda, trovato soltanto nel 1906.
Egli le risolve quindi in modo nuovo. Per le due laterali
progetta un semplice paramento murario di mattoni a vista,
entro cui si apre una finestrella strombata, concluso in
alto da una cornice di archetti ciechi. Un analogo motivo,
sormontato da una galleria ad arcatelle, fu adottato per
quella centrale, più alta, dove però a
novazione vengono ideate tre finestre, giustificate
dal bisogno di luce sempre presente. Certamente
la mancanza di un supporto documentale rese più difficile
le scelte progettuali; ma nel marzo 1889 erano completate.
Un problema analogo si ripropone per il tiburio che era
oramai diventato una tribuna barocca. Ma fortunatamente
qui con un sapiente lavoro di ripulitura fin dal 1881 emersero
ampie partiture dell antico, con tracce di finestre
e arcate romaniche; allesterno riaffiorano parti di
una loggia in tre campi darcate su colonnine
isolate per ciascun lato. Così nellintervento,
anche per sopperire allumidità, il Cesa Bianchi
apre quattro finestre, benché sia consapevole della
loro maggior ampiezza rispetto alle originali. Poste sugli
assi della chiesa, si inseriscono nella soluzione delle
pareti esterne in una loggia a tre archi sopra due
colonnine, motivo che si ripete, cieco, per gli altri
quattro lati. Sopra, a completare la muratura, su tutte
le otto facce del tiburio corre una doppia cornice ad archetti
ciechi, in rapporto modulare, che termina sotto le falde
del tetto. La progettazione delle pareti esterne della chiesa,
che fu affrontata nella seconda fase dei lavori, studiò,
proprio per la difficoltà del tema, soluzioni diverse
nel tempo. Nel lato verso corso Monforte si decise subito
di eliminare le murature che formavano un corridoio tra
la facciata e la cappella del Corpus Domini, dedicata nel
frattempo a san Francesco, collegandola poi con labside
destra; rimaneva il problema della definizione del fianco
e dellaggetto esterno della cappella, non coeva, ma
rinascimentale.
Mentre per la decisione riguardante
le navate - più bassa la laterale, più alta
la maggiore- si scelse di utilizzare una semplice muratura
di mattoni a vista, conclusa in alto da una cornice di archetti
ciechi e scandita da contrafforti, per la cappella si ritrovano,
nei disegni rimastici, due proposte. La prima, che fa parte
del progetto conservato nellArchivio parrocchiale,
mostra un diverso trattamento del suo corpo aggettante,
che manifesta la sua origine rinascimentale, ma che è
risolto in modo sobrio, pur nella differenza dello stile;
il secondo progetto, del 15 novembre 1888, non ne muta le
forme, ma le arricchisce con la decorazione. Un motivo di
gusto classico adorna gli spigoli e la cornice soprastante
per svilupparsi poi nel piano superiore. Ma tutta questa
ricca decorazione non venne realizzata. Nel 1915 si riapri
invece, dopo molti dubbi, la porta laterale di ingresso,
che già esisteva nel periodo federiciano e che era
stata in seguito tamponata e coperta da un affresco.
Rimaneva da ultimo il problema della nuova facciata, visto
che in questo caso non si poteva fare alcun richiamo a quella
romanica, demolita allinizio del Seicento per allungare
laula; di queste si erano trovate però le fondamenta
nella posizione originale. Se infatti per le restanti parti,
eliminato il rivestimento seicentesco, la costruzione
antica della chiesa, come dice il Cesa Bianchi, si
vien a denudare dogni aggiunta o da alterazioni,
qui nessuna traccia poteva sostenere lipotesi per
un intervento di restauro. Si trattava di una vera e propria
progettazione ex novo in stile. Ma questo non fermò
lopera. Anzi, tale mancanza non fu considerata grave
giacché la semplicità della costruzione
del fianco, la semplicità delle fronti antiche
di chiese con gli stessi caratteri permise di definire la
nuova facciata. Forse il profondo studio delledificio
e di tanti altri esempi del romanico lombardo condusse il
progettista, limitandone la fantasia e guidandone la
mano a disegnare razionalmente ossia tutto costruttivamente,
quanto sarà stato dellantica facciata,
come egli stesso scrive al Boito. E fu tale la forza delle
scelte che il suo disegno rimase quasi immutato nel secondo
progetto, del 1888, e in quello del 1904, quando venne realizzata
sotto la guida dellingegner Cesare Nava.
Scandita verticalmente in tre parti, corrispondenti alle
tre navate interne, presenta in ognuna un portale, sormontato
da una finestra. Il motivo è semplice nelle laterali,
più ricco e decorato nel corpo centrale. Per la conclusione
superiore è riproposta la decorazione ad arcatelle
cieche che corre così per lintero edificio,
diventandone lelemento caratterizzante.
Con la conclusione della fronte
nel 1906 si competa quello che allora venne definito risanamento
e generale restauro delledificio; in realtà
queste opere dettero allantica costruzione un aspetto
che non aveva mai avuto nei secoli, ma che rappresentava,
come si e detto, 1 espressione caratteristica della
cultura milanese del tardo Ottocento. In tale veste la chiesa
è giunta fino al nostro tempo.
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